Memoriae

Da Venerdì 17 Settembre 2021 per la durata di un anno, apre a Spinea la rassegna di arte contemporanea MEMORIAE, promossa dal Comune di Spinea e curata da Santina Ricupero, in collaborazione con l’Associazione Contemporis ETS. Il progetto si compone di sette mostre a tema, nell’ordine: i rapporti della memoria con l’identità, la natura, l’oblio, lo sradicamento, il tempo, il silenzio.

Il percorso di MEMORIAE prosegue nel corso del 2022, fino alla sua conclusione il 12 giugno. Il catalogo è disponibile per il download a questo link.

Silentium Memoria

Silentium memoria è la prima esposizione e mette a confronto opere selezionate dell’artista miranese Barbara Pelizzon con l’installazione “Habitarse”, dello spagnolo Ignacio Llamas. Il dialogo tra i due artisti si sviluppa tra le due sedi di Villa Simion e Santa Maria Assunta, che ospitano separatamente le rispettive opere.

Barbara esplora la necessità di conservare la memoria, anche se dolorosa. Le opere in esposizione sono composizioni di oggetti cari all’artista, materiali di scarto, contesti, e gesti. Peripezie esistenziali e sogni perduti tracciano un percorso narrativo frastagliato e affollato.

Pelizzon scava negli oggetti, per estrarre quella passione vitale e drammatica di cui sono intrisi, in un chirurgico sforzo di paleontologia poetica. “Manca sempre qualcosa”, dichiara l’artista. Forse per questo i suoi Codici sono carichi di mistero e magia e compongono un linguaggio tanto coinvolgente. “Ricordare” in latino è richiamare al cuore. Richiamare al cuore le nostre emozioni è ciò di cui tutti abbiamo bisogno per vivere e dare senso agli accadimenti quotidiani: per interpretarli e avere più consapevolezza dei nostri processi e percorsi. È questa l’operazione che Pelizzon compie quando taglia, cuce, fascia i suoi cimeli, come a richiamare per al contempo fasciare le sue ferite.

Ai neri profondi dei codici di Pelizzon si oppone, nella chiesetta Santa Maria Assunta, il bianco delicato e abbagliante delle foto scattate da Ignacio in occasione della eccezionale nevicata a Toledo in aprile del 2021.

L’installazione fotografica Habitarse è il risultato di una intensa esperienza spirituale di vuoto, isolamento, desolazione e incanto. La modulazione tra luce e ombra, tra materia e proiezione, tra presenza e assenza, riprende il tema di Pelizzon ma ne esaspera i contrasti, radicalizzandoli. La potenza distruttrice della natura convive con la sua capacità rigeneratrice e di purificazione. Le fotografie esposte all’oratorio di Santa Maria Assuntache conducono all’altare, quasi a infondere l’opera di una spiritualità nichilista e meditativa. Lì dove Pelizzon lavora per accumulo, Llamas invece procede per sottrazione: sottrazione di colore ma anche della materia. Bianco e nero, luce e ombra, silenzio e suono, sono gli opposti che sempre convivono in unità.

Le due mostre, contemporaneamente poste in opposizione e dialogo, richiedono allo spettatore un atteggiamento di azzeramento delle attese per l’approdo in una dimensione sospesa, ma totalmente coinvolgente e ricca di emozioni.

Oblivio Memoria

Il 22 ottobre è stata inaugurata Oblivio memoria, seconda mostra della rassegna, che mette a confronto le opere dell’artista Angelino Cortesia, di Salzano, con quelle del miranese Paolo Zamengo, collocate in due differenti sedi, rispettivamente Villa Simion e Santa Maria Assunta. Due mostre virtualmente congiunte dalla tematica proposta, affrontata con il proprio personale linguaggio. “Le opere di Paolo Zamengo e Angelino Cortesia sembrano il campo di battaglia di due spinte antitetiche: la volontà di preservare e tener traccia, di se stessi in primo luogo, come risposta alla pulsione di autoconservazione dell’essere umano e dell’artista innanzitutto; e il tentativo di astrarre, generalizzare e quindi dimenticare, confondendo il dettaglio con lo sfondo, l’io con l’universale” ( dal testo critico di Francesca Giubilei e Luca Berta).
Angelino Cortesia conserva la memoria dei suoi pensieri, o di < quelli di altri che lo hanno ispirato, scrivendoli sulla tela. Poi però li  rende quasi illeggibili dipingendoci sopra o cancellandoli con un segno grafico molto caotico. Per la densità del colore e il segno  profondo della scrittura, la serie Sepolcri 2020 sembra quasi  raccogliere dei graffiti su frammenti di intonaco, poi incorniciati. dal testo di Francesca Giubilei e Luca Berta)  I testi, scelti come punto di partenza, sono pensieri, citazioni,  riflessioni che vengono poi utilizzati come sottotitoli delle sue  pitture, tutte eseguite a tecnica mista su supporti cartacei. Un po’ di  leggerezza per il mio cuore (aggiungo l’azzurro oltremare e il blu di  cobalto per l’infinito) è un esempio di titoli che descrivono il metodo  di procedere nel suo fare pittura, elegantissime monocromie dai  colori forti e decisi o severe riduzioni della gamma cromatica che  esaltano la forza del messaggio.

Paolo Zamengo dell’oblio ha fatto il perno del suo lavoro, bruciando, cancellando, strappando. La continua rivisitazione delle opere, anche a distanza di anni, è diventata una prassi: sovrappone, taglia e riassembla i suoi lavori su carta, componendo dei libri, veri archivi di memorie, dai titoli forti come per esempio “Entropie”, il libro posto sull’altare; oppure “Uomo che legge”, “Niente”..etc. Cultura filosofica, denuncia del sistema dell’arte, interiorità profonda sono componenti di un lavoro, a tratti solo apparentemente dissacratorio, con forte valenza spirituale, sempre allusive di una dimensione Altra. Ne sono un esempio, nella Chiesa Santa Maria Assunta, il trittico il “Sole Quadrato” e ancora la installazione centrale “Vomitare l’arte” che vede a terra, simbolicamte in progressione verso l’altare, una serie di opere materiche monocromatiche bianche, culminanti con il Libro Entropie ( rilegatura a mano di tecniche miste su carta assemblati anche a feltro e vetro).
Una mostra che fa riflettere sulla contrapposizione apparente o reale della memoria con l’oblio, comunemente considerato, a torto o ragione, il suo esatto opposto.

Le forme silenziose della memoria

Il 26 novembre è stata inaugurata “Le forme silenziose della memoria”, la mostra curata da Santina Ricupero e Monica Mazzolini che mette a confronto le opere dell’artista Pier Paolo Fassetta. 
Architetto, insegnante, uomo di cultura, Pier Paolo Fassetta, (Venezia 1948 – Mirano 2021), è un artista che, aperto a molteplici sperimentazioni e linguaggi artistici, a partire dagli anni ’60, oltre alle tecniche pittoriche tradizionali, ha utilizzato la fotografia e la videoripresa seguendo le tendenze più innovative del suo tempo. La mostra propone diversi progetti, la maggior parte fotografici, suddivisi in due location. Nell’Oratorio di Villa Simius sono esposte opere in cui la poetica è rappresentata dall’evanescenza dei luoghi e delle persone e dall’imponderabilità del tempo. Presso l’Oratorio di Santa Maria Assunta il comune denominatore è la forza dei materiali e del colore, con lo scopo di evidenziare sentimenti unami quali passione e sofferenza. 
Nonostante la differente collocazione e la diversa matericità della serie proposte, tutte le opere di Pier Paolo Fassetta sono legate da un processo creativo in cui tecnica e multidisciplinarità sono strumenti che generano una personale e trasfigurata realtà fatta di silenzio e memoria.

Naturae memoria

 

Ha inaugurato venerdì 25 marzo a Spinea Naturae Memoria, quinta mostra della rassegna di arte contemporanea MEMORIAE, voluta dal
Comune di Spinea e curata da Santina Ricupero, con la collaborazione dell’Associazione Contemporis ETS.
Il progetto comprende sette esposizioni che indagano i rapporti della memoria con l’identità, la natura, l’oblio, lo sradicamento, il tempo, 
il silenzio.

Naturae memoria propone al publico il lavoro di Franceca Della Toffola, fotografa e curatrice di Trevignano Fotogafia, a confronto con le sculture dell’artista mestrino Stefano Zaratin.

Le foto di Francesca Della Toffola, esposte nella sede espositiva di Santa Maria Assunta appartengono alle serie Accerchiati incanti, titolo tratto da un verso di A. Zanzotto.

Una poetessa con la macchina fotografica è il titolo del testo critico a lei dedicato da Monica Mazzolini nel pieghevole della mostra. Sono infatti, quelle di Francesca, poesie da leggere nelle immagini fotografiche, rigorosamente racchiuse in un tondo, in un cerchio, simbolo non solo di perfezione e infinito ma anche della terra, della femmininilità, della maternità e della visione circolare propria dell’occhio umano e della luce ( Francesca Della Toffola). L’artista ama fotografarsi nella natura, usa il corpo come oggetto del suo lavoro, indagandone tutte le possibilità espressive, alla ricerca di una identità più profonda. Sovrappone gli autoscatti a prati, laghi, distese innevate. La fusione totale del suo corpo con la natura, la rende parte di un tutto infinito, trasmettendo una grande sensazione di armonia e quiete.

Una fotografia vicina al neopittorialismo e alla corrente ottocentesca dei Preraffaelliti, secondo molti critici e storici della fotografia tra cui Giorgio Bonomi, Italo Zannier e la stessa Monica Mazzolini.

Stefano Zaratin, scultore, conduce negli ultimi anni, una ricerca orientata al conflittuale rapporto Uomo/Natura. Caratteristica peculiare del suo lavoro è la gamma cromatica: solo bianco, nero e i colori dei materiali stessi. Si interroga profondamente sul futuro del nostro ambiente facendo scaturire dalle sue riflessioni uno scenario apocalittico e straniante. Infatti, nelle sculture, ottenute assemblando materiali vari ( carta, fili, rami, legno, pastiche oggetti vari..), i materiali organici si trasformano in bituminosi : il fiore in un vaso di vetro ha i petali in metallo e una bellezza scultorea da ammirare ma, sul fondo del vetro, al posto dell’acqua, delle macchie di bitume colpiscono il nostro sguardo. Un sottile senso di disagio disturba la nostra contemplazione di fronte alla trasformazione in atto. 

Il lavoro di Stefano è un lavoro di denuncia di come, quotidianamente stiamo avvelenando il nostro ambiente. Le sue sculture sono delle metamorfosi: l’artista mescola materiali vari dando luogo a una natura di sua personale invenzione. 

Due mostre con uno sguardo diverso sulla natura: romantico quello di Francesca Della Toffola con la necessità di essere un tutt’uno con la Natura e critico, razionale, lo sguardo di Stefano Zaratin che ci mette in guardia sull’attentato quotidiano all’ambiente e all’ecosistema. Possiamo parlare di un fare artistico femminile e uno maschile? E’ un dilemma sempre aperto…..

 

Memoria identitas

Memoria identitas propone al pubblico il lavoro di Elisa Biagi, laureata in architettura, photo editor e fotografa triestina, a confronto con l’opera dell’artista bellunese Andrea Serafini, docente di Tecniche dell’Incisione-Grafica d’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia.


A Spinea, nella sede espositiva di Santa Maria Assunta, Elisa Biagi espone un numeroso gruppo di fotografie appartenenti al progetto Lasciapassare e dedica la mostra alla nonna Anita. Quella di Elisa Biagi è un’indagine sul passato della sua famiglia, condotta con la macchina fotografica e con tanto cuore, con uno sguardo rivolto però al presente, al paesaggio, alla frontiera. Il racconto, nel suo sviluppo, si allarga e abbraccia un’intera comunità per diventare memoria collettiva.

Visitando lo spazio espositivo di S. M. Assunta, ci si immerge in un flusso di immagini dal grande potere evocativo, in cui sembra di sentire bisbigliare storie, desideri, speranze, delusioni. “Sono immagini vernacolari che rappresentano, solo in apparenza, le cose da nulla: strade, cartelli, case abbandonate, campi, panorami, dettagli. Al contrario sono storia, memoria, radici delle genti di frontiera” ( da Una storia di frontiera, testo critico di Monica Mazzolini nel pieghevole della mostra).


La memoria, l’identità di cui Elisa ci racconta, si riferisce alla gente della zona di frontiera dell’alto adriatico suddivisa oggi in quattro Stati di appartenenza, Austria, Croazia, Slovenia e Italia, linee di confine che si sono spostate nel tempo e nella storia marcando differenze ma anche punti comuni. Zone caratterizzate da identità plurietnica, plurilinguismo e una multiculturalità con tradizioni e memorie collettive differenti che, per anni in dialogo, hanno creato una condivisa identità culturale frutto dei legami storici di reciproca interdipendenza, una umanità oggi separata da linee di confine segnate anche da filo spinato per contenere i flussi migratori. “Il vento non ha confini e si muove liberamente” dice Elisa nel suo libro Lasciapassare.


Lasciapassare era il documento necessario nel dopoguerra per entrare liberamente oltre frontiera (ne possedeva uno la stessa autrice) ma sottintende anche un altro significato simbolico: “lascia passare” le ferite, i torti, le sofferenze. Costruire il futuro con la Memoria storica.


Andrea Serafini, nell’Oratorio di Villa Simion, espone incisioni, acquaforti, acquatinte, con ritocchi a puntasecca, di forte impatto per i grandi e non comuni formati utilizzati e per la forza delle immagini. Tecniche calcografiche tradizionali, nate per divulgare le opere dei grandi maestri ma che possiedono una valenza espressiva propria, autonoma e originale e che Andrea ha approfondito con assidua sperimentazione e ricerca.

Andrea Serafini, nell’Oratorio di Villa Simion, espone incisioni, acquaforti, acquatinte, con ritocchi a puntasecca, di forte impatto per i grandi e non comuni formati utilizzati e per la forza delle immagini. Tecniche calcografiche tradizionali, nate per divulgare le opere dei grandi maestri ma che possiedono una valenza espressiva propria, autonoma e originale e che Andrea ha approfondito con assidua sperimentazione e ricerca.

“L’identità personale che emerge dal lavoro di Serafini è una identità individuale fragile e offuscata, così come appare dai vetri delle macchine ferme agli incroci delle strade, imperlati di gocce d’acqua che appannano la visione e denunciano il rischio forte di cancellazione dell’identità in un mondo globalizzato e anonimo. Le  vetrate di grandi magazzini e luoghi di transito, ci restituiscono, nei segmenti delle persone riflesse, solo parvenze di esistenza. Paesaggi urbani e luoghi di transito, aeroporti, strade, parcheggi, non luoghi dell’esistere, vengono indagati da Andrea Serafini con una personale interpretazione di città e architetture. Superfici, spazi e volumi sono scomposti e ricomposti offrendoci una visione di spaesamento dell’uomo contemporaneo, intrappolato in un carosello di azioni ripetitive e alienanti che, spingendolo fuori, nel frenetico mondo esteriore, recidono il contatto con il proprio essere”. (da Solitudini, testo critico di Santina Ricupero nel pieghevole della mostra).

Entrambi gli artisti sembrano sottolineare la necessità di avere consapevolezza della propria identità e dell’incontro con l’altro, del rispetto nelle relazioni con il vicino e anche il diverso, al di là di ogni confine, dentro e fuori di noi stessi.

Memoria tempus identitas

Memoria Tempus  identitas è la doppia mostra che conclude la rassegna di arte contemporanea MEMORIAE. A confronto ora una selezione di foto di Santina Ricupero, appartenenti alla serie Scritture del tempo, e la selezione di opere di Maria Angela Tiozzi appartenenti alle serie Edificazioni, Ritratti di e Doppia vita.

Santina Ricupero indaga il tema della memoria-identità con una scelta di fotografie, tratte dal libro Scritture del tempo, pubblicato nel 2020. L’artista ha fotografato le storiche architetture delle tombe del cimitero di Canicattini Bagni, suo paese natale, con uno sguardo particolare: “siamo di fronte ad un linguaggio antinomico. Da un lato dettagli che riconducono al culto dei morti, dall’altro la totale assenza di elementi iconografici e pochi segni”, come scrive Monica Mazzolini. La scomparsa, per azione del tempo, anche delle immagini fotografiche dei volti, importanti elementi visivi del ricordo, concorrono a rendere quei sepolcri testimonianze di luoghi universali. Resta, prosegue la curatrice, “se pur consunto qualche fiore artificiale mentre in contrapposizione il muschio e le erbe selvatiche crescono rigogliose. Una dicotomia: morte e forza della vita”.

Maria Angela Tiozzi, si appropria invece proprio di volti e immagini fotografiche già esistenti: l’elemento originale, manipolato e riscritto, conduce comunque in un contesto straniante e atemporale. Nella serie Ritratti di, scrivono Francesca Giubilei e Luca Berta, “la pittura è realistica, sorprendentemente vicina all’immagine riprodotta meccanicamente, eppure la fisionomia originaria non esiste più (…) l’unità della composizione vengono ulteriormente negate quando l’opera, originariamente in formato A4, viene stampata, ingrandendola di oltre dieci volte (…) aggiungendo un ulteriore livello espressivo alla narrazione secondo la tecnica della mise en abyme”. L’elemento evocativo e realistico si influenzano vicendevolmente creando sempre nuovi depositi formali anche nel work in progress, Edificazioni (foto su mdf, pittura) e nella recente serie Doppia vita (pittura, grattage su acetato).

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